Il Pentagono pensa a impianti cerebrali utili a riparare malfunzionamenti e menomazioni della materia grigia. Per un futuro da cyborg per veterani e civili
Roma - La fusione permanente tra uomo e macchina è sempre più vicina, e se
transumanesimo ha da essere si dovrà necessariamente metter mano al cervello e
alle sue complicate interconnessioni sinaptiche. Al DARPA, il braccio
hi-tech del Pentagono votato alle sperimentazioni estreme, stanno appunto
pensando a trasformare in realtà i racconti cyber-punk di William Gibson
con il progetto
REPAIR.
Il problema principale da risolvere, spiega il professore associato Krishna
Shenoy della Stanford University coinvolto nel progetto, è la
sostanziale impotenza davanti cui si trova oggi la comunità medica quando si
tratta di porre rimedio a ferite, menomazioni e malfunzionamenti della materia
cerebrale che custodisce la vita di un individuo.
L'obiettivo
di REPAIR è appunto quello di "comprendere - e poi essere in grado di
modificare - il comportamento del cervello in risposta a un trauma". DARPA
finanzierà REPAIR e le quattro istituzioni coinvolte con una somma iniziale di
14,9 milioni di dollari in due anni, impegnando 10 team di ricerca dotati di
competenze che vanno dalle neuroscienze alla psichiatria, dalla
neuroplastica ai semiconduttori elettronici.
Massiccio il compito che attende i ricercatori, i quali non solo dovranno
capire in dettaglio come funzionano le interconnessioni tra i neuroni delle
varie parti funzionali del cervello - prima animale e infine umano - ma anche e
soprattutto come utilizzare le possibilità offerte dall'optogenetica
(la precisa stimolazione esterna dei singoli neuroni dell'encefalo) per "leggere
un segnale dalla regione A, bypassare l'area B danneggiata e portare quel
segnale a C".
Nella più ottimistica delle ipotesi, i ricercatori promettono di
realizzare impianti cerebrali funzionanti (fibre ottiche, microchip e
chissà cos'altro) da testare in laboratorio sugli animali da qui a quattro anni.
E se al DARPA giustificano i fondi impegnati per REPAIR con la possibilità di
curare i traumi cerebrali dei veterani dell'Iraq o Afghanistan (il 10-20 per
cento delle truppe che tornano negli States), un eventuale successo del progetto
porterebbe indubbi benefici anche ai quasi 2 milioni di americani (e non solo)
che cadono vittima ogni anno di infortuni. Le questioni filosofiche sulla "disumanizzazione"
degli impianti cerebrali, infine, sono tutt'altra storia.
Alfonso Maruccia "