A Vicenza il «controllo totale» dei lavoratori in nero

 Corriere della sera, 14-5-2011 di Mauro Covacich
 
Un'organizzazione di indiani con sede nell'ovest vicentino, al centro di un
vasto giro di volantinaggio illegale fatto di lavoro nero, evasione e frode
fiscale, è stata sgominata dalla Guardia di Finanza, ma non è questa la notizia
vera. La notizia vera è che questi nuovi padroni controllavano i loro
lavoranti, quasi tutti ovviamente immigrati irregolari e quindi ricattabili,
attraverso una catena elettronica dalle maglie invisibili collegata a un gps.

La tecnologia non ha un'etica, può essere utile al chirurgo, all'astronauta o
al criminale, per sua natura non guarda in faccia nessuno. Non solo: più la
tecnologia avanza e occupa spazi, più il pensiero si ritira in aloni
opalescenti, fino a rarefarsi del tutto. È probabile che i nuovi padroni colti
in flagranza di reato abbiano sgranato gli occhi di fronte alle accuse. Che c'è
di male a dotare di collarino gps i tuoi schiavi? Prima c'era la palla al
piede, le catene, adesso gli rendiamo la vita più facile, e voi pure vi
scandalizzate? Chi tiene gli occhi bassi sulle cose non ha tempo per pensare: o
è troppo intento a far soldi o sta sudando per farli fare a qualcun altro. È
stupefacente il mondo che si nasconde dietro queste giustificazioni e la loro
patina di laboriosità. Sotto i nostri occhi ogni mattina va in scena una
commedia piena di gente indaffarata, ragazze che sorridono ai banchetti dei
surgelati in promozione, agenti immobiliari in grisaglia che offrono sempre
nuove perizie, giovani africani che ingombrano i tergicristalli e le cassette
della posta di stramaledetti volantini pubblicitari. Li accettiamo i loro
volantini. Alla fin fine, pensiamo, hanno un lavoro, ce l'hanno fatta. Guarda
che bei caschetti, che belle pettorine, che belle biciclette. Siamo quasi
contenti per loro. Mica ci siamo chiesti se quei caschetti servono a farli
pedalare più sicuri o a nascondere un guinzaglio di ultima generazione.

 La commedia va in scena ogni giorno secondo il copione ormai consolidato del
«purché si lavori», ma dietro le quinte lo sfruttamento ha raggiunto livelli di
ferocia che farebbero impallidire un dramma come Furore. Quando John Steinbeck
pubblicò il suo romanzo, i gps non esistevano ancora. Era il 1939, piena
depressione, e i nuovi poveri degli stati del sud migravano verso la California
in cerca della semplice, bruta sopravvivenza. Era gente talmente affamata da
non avere alcun potere contrattuale e quindi perfetta per il cottimo dei
proprietari terrieri. Ognuno di quei lavoratori stagionali aveva ovviamente una
sua storia - uomini, donne, figli, individui che amavano e soffrivano - ma
veniva percepito a malapena come parte di una massa pericolosa di nullatenenti
o, peggio, come un'ottima occasione speculativa. Vi ricorda qualcosa? Guardate
fuori dalla finestra.
Il romanzo di Steinbeck, così pieno di passione e dolore, lasciava intuire una
cosa importante per il futuro: sfruttata, offesa, ferita che fosse, quella
gente non avrebbe smesso di arrivare. Altri avrebbero viaggiato per migliaia di
chilometri, si sarebbero spezzati la schiena nei campi di pesche, ricacciando
in gola l'orgoglio, la rabbia, tutto, in attesa solo di diventare cittadini.
Senza cottimo, e forse oggi potremmo dire anche senza gps.