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ACOFOINMENEF ADERENTE AL MOVIMENTO AMPIO contro la tortura tecnologica, elettronica, psicologica e mentale

CIRCOLARE PER LE VITTIME E GLI ASSOCIATI

22-11-2020

 

UN TESTO DI INDUBBIO INTERESSE CHE EVIDENZIA UN GROSSO LIMITE DELLA LEGGE DI CUI AL ART.613 BIS E TER CP

 

VAI AL TESTO DAL SITO CAMERA DEI DEPUTATI

 

TESTO Nuovo reato di tortura, rischio di strumentalizzazione in ambito penitenziario

di Chiechi Francesco, Dott., 26 aprile 2018 ,

FONTE TESTO ORIGINALE https://www.diritto.it/il-nuovo-reato-di-tortura/

PDF ORIGINALE DEL TESTO http://www.associazionevittimearmielettroniche-mentali.org/nuovo-reato-di-tortura-rischio-di-strumentalizzazione-in-ambito-penitenziario.pdf

Non va sottaciuto, altresì, che la norma in commento non ricomprende nessuna indicazione in merito all’elemento soggettivo e, ad ogni modo, trattandosi di un delitto, l’imputazione sarà a titolo di dolo generico.

Ancora, l’altra previsione normativa di nuova introduzione, l’art. 613-ter c.p., punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del  servizio, istiga in modo tangibilmente adeguato un altro p.u. o un altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta, ma il delitto non è posto in essere.

Al riguardo, si è al cospetto di un reato proprio che può essere realizzato unicamente dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. La punibilità dell’istigatore[19], in ipotesi di istigazione non accolta ovvero di istigazione accolta, ma non seguita dalla commissione del crimen, rappresenta una deroga al principio generale di cui all’art. 115 c.p.[20]

NOTA MOVIMENTO AMPIO 22-11-2020:

ATTESO CHE LE ARMI NON LETALI A DISTANZA ESISTONO ECCOME, E CHE AD INTERESSARSENE è LA STESSA O.N.U., MENTRE IN ITALIA VIGE IL SILENZIO “TOMBALE” SULL’ARGOMENTO, (VEDASI LA GAFFE DEI CARABINIERI CHE PRIMA PUBBLICANO L’IMPORTANTE SAGGIO DEL GENERALE CASTIELLO E POI LO TOLGONO DAL LORO SITO UFFICIALE) COME DIMENTICA IL PARLAMENTO CHE è COMPLICE E DETERMINATO DA LEGGI ANTIDEMOCRATICHE (ABOLIZIONE PROPORZIONALE E SUCCESSIVE NORME E REFERENDUM PILOTATI) E SICCOME IL PARLAMENTO è ACCAPARRATO DA LOBBIES ECONOMICHE è PURE ILLEGITTIMO, NE DERIVA CHE LA LEGGE PUR POSITIVA E’ ANCORA INADEGUATA DATO CHE IN NUMEROSI CASI, DECINE E CENTINAIA DI CASI, NON SI TRATTA SOLO DI FORZE DI POLZIA ED ESERCITO, MA SI è DI FRONTE A PRIVATI E/O ASSOCIAZIONI DI OGNI GENERE, E/O FONDAZIONI DI OGNI GENERE, E/O CENTRI DI RICERCA  DI OGNI GENERE (IN PARTICOLARE STUDIO DEL CERVELLO E NEUROFISIOLOGICI) E/O FANATICI E/O PARA-MILITARI E/O POLIZIE PRIVATE CHE UTILIZZANO QUESTE STESSE ARMI E STRUMENTI A DISTANZA, NELL’IMPUNITà PIU’ TOTALE.

Alla luce delle considerazioni che precedono può asserirsi che l’introduzione degli artt. 613-bis e 613-ter c.p. possano essere qualificate come una evoluzione di carattere positivo sul terreno politico-culturale.  La circostanza che oggigiorno sia materialmente possibile per il giudice appurare se specifici modus agendi siano configurabili o meno come una tortura è una questione da non sottovalutare nella prospettiva del consolidamento della cultura dei diritti umani e della lotta avverso l’impunità per gravi infrazioni di questi ultimi.

Pertanto, in merito al rischio di una possibile strumentalizzazione del reato di tortura, anche in ambito penitenziario, va notato che il deficit di determinatezza della fattispecie di cui all’art. 613-bis c.p. è così elevato che è fondato il pericolo di una sua inapplicabilità.

In altri termini, è come se fossimo al cospetto di una tigre di carta[21] e, conseguentemente, non può non rilevarsi come il legislatore nazionale abbia disatteso i principi emersi in materia di tortura nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.”

[1] La L. 14 luglio 2017, n. 110, recante “Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2017, n. 166.

[2] In argomento, A. Costantini, Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris, 2018, p. 5 ss.; G. De Salvatore, L’incidenza degli atti atipici di tortura sul ragionamento del giudice penale, in Cassazione Penale, 2017, p. 4530 ss.; G. Lanza, Obblighi internazionali d’incriminazione penale della tortura ed ordinamento interno, in IP, 2011, 738 ss.; F. Lattanzi, La nozione di tortura nel codice penale italiano a confronto con le norme internazionali in materia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2018, p. 151 ss.; A. Marchesi, Delitto di tortura e obblighi internazionali di punizione, in Rivista di Diritto Internazionale, 2018, p. 131 ss.; Id., L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, in RDIn, 1999, 463 ss.; C. Pezzimenti, Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, in Diritto penale e processo, 2018, p. 158 ss.

[3] C. Pezzimenti, Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, cit., p. 153, afferma che: “L’intera evoluzione storica della legge in commento può essere scandita dal tempo condizionale. La L. 14 luglio 2017, n. 110 nel sancire l’”Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano”, avrebbe dovuto avere una forte valenza politico criminale, intervenendo per colmare un gravissimo vuoto di tutela. Anche sotto il profilo storico giuridico, la legge avrebbe dovuto segnare una svolta epocale, dando finalmente attuazione, in imbarazzante ritardo, alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (CAT), adottata nel 1984 dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite e ratificata in Italia con la L. n. 498 del 1988. Torniamo all’indicativo presente. Si tratta, invece, di un provvedimento che “lascia tutti o quasi scontenti”: il testo normativo riflette emblematicamente tutte le tensioni ed i compromessi politici che ne hanno preceduto l’approvazione. Sotto il profilo della tecnica di normazione, la fattispecie presenta elementi di forte ambiguità e solleva, come vedremo, molti dubbi interpretativi: viene delineata “un’ipotesi di maltrattamenti – allargata e speciale” rispetto al 572 c.p. che, oltre a discostarsi dalla definizione di tortura contenuta nell’art. 4 dalla CAT, diverge dai principi emersi nella giurisprudenza della Cedu, nonché da quelli espressi nelle raccomandazioni del Comitato europeo di prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT)”.

[4] La L. 3 novembre 1988, n. 498, recante “Ratifica ed esecuzione della convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 1988, n. 271.

[5] A. Marchesi, Delitto di tortura e obblighi internazionali di punizione, cit., p. 131, dichiara che: “Nel lungo intervallo di tempo tra l’approvazione della legge n. 498 e quella della legge n. 110 i limiti del sistema italiano di punizione della tortura sono stati ripetutamente oggetto di valutazione nell’ambito di diverse procedure internazionali di garanzia dei diritti umani. La questione dell’adeguatezza delle norme italiane a rispettare l’obbligo di punire la tortura si è posta in occasione dell’esame dei rapporti periodici dell’Italia ad opera di diversi treaty bodies, a cominciare dal Comitato dei diritti umani. Il tema è stato, però, com’è ovvio, approfondito soprattutto dal Comitato contro la tortura, che vigila sul rispetto della Convenzione del 1984. Nelle osservazioni conclusive di questo sul quarto rapporto periodico dell’Italia si riferisce: «Notwithstanding the State party’s assertion that, under the Italian Criminal Code all acts that may be described as “torture” within the meaning of article 1 of the Convention are punishable and while noting the draft law (Senate Act No. 1216) which has been approved by the Chamber of Deputies and is currently awaiting consideration in the Senate, the Committee remains concerned that the State party has still not incorporated into domestic law the crime of torture as defined in article 1 of the Convention» Si prende atto, in altre parole, dei due argomenti contestualmente sostenuti da successivi governi italiani davanti ai treaty bodies — ovvero che l’introduzione di una fattispecie specifica non sarebbe dovuta ai sensi della Convenzione e che il Parlamento sarebbe stato comunque al lavoro per introdurre la fattispecie in questione — , argomenti che, tuttavia, oltre ad apparire in qualche misura contraddittori fra loro, non servono a fugare le preoccupazioni del Comitato; e si ribadisce, a conclusione della procedura, la raccomandazione già formulata in precedenza «… that the State party proceed to incorporate into domestic law the crime of torture and adopt a definition of torture that covers all the elements contained in article 1 of the Convention…». Oltre a essere raccomandata dal Comitato contro la tortura e da altri treaty bodies, l’introduzione di un reato specifico di tortura è stata oggetto di raccomandazioni rivolte all’Italia nel contesto della Universal Periodic Review (UPR) condotta, utilizzando un metodo peer-to-peer, in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. In occasione del primo ciclo di revisione della situazione dei diritti umani nel nostro Paese, la questione è menzionata negli interventi di Regno Unito e Francia ed è oggetto di raccomandazioni specifiche da parte dei Paesi Bassi, della Repubblica Ceca e della Nuova Zelanda. In occasione del secondo ciclo di revisione della situazione italiana, invece, questa viene ripresa dalla sola Australia. Il tema è dunque presente nei lavori del Consiglio per i diritti umani, anche se occorre riconoscere che non ha avuto, entro tale contesto, la medesima attenzione che è stata riservata ad altre lacune del nostro ordinamento. A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che l’Italia ha violato più profili dell’art. 3, tra cui in particolare gli obblighi di natura procedurale concernenti lo svolgimento delle indagini e la punizione dei responsabili di tortura. Esemplare in tal senso è la sentenza Cestaro c. Italia del 2015 nella quale la Corte chiarisce le ragioni di natura strutturale all’origine della violazione dell’art. 3, dovuta anzitutto all’inadeguatezza degli strumenti normativi a disposizione degli organi preposti alla repressione della tortura. Facendo riferimento a ciò che ha reso inevitabile l’impunità dei responsabili dei c.d. fatti della Diaz, la Corte precisa che, in presenza di atti di tortura, gli effetti della prescrizione o di misure quali l’amnistia, la grazia o l’indulto, devono essere « compatibili » con le esigenze della Convenzione: non possono, in altre parole, tradursi nell’impunità per tali atti, com’è avvenuto invece nel caso in questione. La Corte, peraltro, non giunge a indicare esplicitamente l’introduzione di una fattispecie specifica di tortura come modalità unica di adempimento della sentenza. Di fatto, non avendo ritenuto i giudici di Strasburgo che fosse una modalità adeguata la copertura mediante altre fattispecie di reato, e in mancanza di una terza via, la sentenza lascia poco margine per eventuali scelte diverse”.

[6] G. Lanza, Obblighi internazionali d’incriminazione penale della tortura ed ordinamento interno, cit., 738 ss.; A. Marchesi, L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, cit., 463 ss.

[7] La L. 12 luglio 1999, n. 232, rubricata “Ratifica ed esecuzione dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, con atto finale ed allegati, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 19 luglio 1999, n. 167.

[8] Ad esempio, per Corte europea diritti dell’uomo, Sez. IV, 7 aprile 2015, n. 6884, in Giur. It., 2015, p. 1709 ss.: “La Corte conclude per la violazione dell’art. 3 della Convenzione – a causa dei maltrattamenti subiti dal ricorrente che devono essere qualificati “tortura” ai sensi di questa disposizione – sia sotto il profilo sostanziale che procedurale (…). In questo quadro, la Corte ritiene necessario che l’ordinamento giuridico italiano si doti degli strumenti giuridici atti a sanzionare in maniera adeguata i responsabili degli atti di tortura o di altri maltrattamenti rispetto all’articolo 3 e ad impedire che questi ultimi possano beneficiare di misure che contrastino con la giurisprudenza della Corte”.

[9] La L. 31 gennaio 2002, n. 6, rubricata “Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di guerra, approvato con R.D. 20 febbraio 1941, n. 303”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 febbraio 2002, n. 28.

[10] Nella norma de qua si statuisce che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il militare che, per cause non estranee alla guerra, compie atti di tortura o altri trattamenti inumani, trasferimenti illegali, ovvero altre condotte vietategli dalle convenzioni internazionali, inclusi gli esperimenti biologici o i trattamenti medici non giustificati dallo stato di salute, in danno di prigionieri di guerra o di civili o di altre persone protette dalle convenzioni internazionali medesime, è punito con la reclusione militare da due a cinque anni”.

[11] Il D.Lgs. 12 gennaio 2007, n. 11, denominato “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1236/2005, concernente il commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, la tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 febbraio 2007, n. 39.

[12] G. De Salvatore, L’incidenza degli atti atipici di tortura sul ragionamento del giudice penale, cit., p. 4530 ss.

[13] A. Costantini, Il nuovo delitto di tortura, cit., p. 5, osserva che: “La tecnica di formulazione della fattispecie ha sollevato alcune perplessità in ragione della difficile individuazione delle condotte in concreto sanzionate. In particolare, la tortuosità della norma rende particolarmente difficile la comprensione del precetto da parte dei consociati, in spregio al principio di precisione richiesto dall’art. 25, comma 2, Cost. Come si cercherà di evidenziare, pare inoltre dubbia la capacità di tale disposizione di contrastare efficacemente il fenomeno della tortura e di adempiere agli obblighi sovranazionali di incriminazione. L’articolazione della condotta secondo modalità alternative porta ad interrogarsi circa la configurabilità dell’art. 613-bis come “norma a più fattispecie” (id est, un unico reato realizzabile con modalità differenti) ovvero come “fattispecie a più norme” (e quindi più norme incriminatrici, ciascuna corrispondente ad una delle possibili modalità della condotta): la questione ha rilevanza pratica al fine di capire se il soggetto attivo, nell’ipotesi in cui ponga in essere più condotte alternative, debba rispondere di uno o di una pluralità di reati di tortura. Sembra preferibile la prima soluzione, considerato che le diverse modalità di realizzazione del fatto tipico esprimono un disvalore omogeneo e sono offensive degli stessi beni giuridici (incolumità individuale, libertà morale). Deve al contrario ritenersi configurata una pluralità di reati nel caso in cui la stessa condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice venga realizzata a danno di una pluralità di persone, pur se in un unico contesto temporale. E infatti, in presenza di un’azione delittuosa lesiva di interessi di carattere personale, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere sempre realizzato un numero di reati pari a quanti sono i titolari dei beni giuridici offesi, essendo a tal fine indifferente che la condotta sia posta in essere in un ambito di spazio e di tempo unitario”.

[14] A. Costantini, Il nuovo delitto di tortura, cit., p. 6, sottolinea che: “Come osservato dalla dottrina, tale aspetto rischia di compromettere l’applicabilità della norma incriminatrice rispetto alla maggior parte degli episodi di tortura, connotati per il fatto di raggiungere immediatamente lo scopo perseguito dall’agente e, quindi, senza ripetersi nel tempo. L’unica possibilità che il delitto si realizzi in modo istantaneo, mediante una condotta unisussistente, è che ricorra il diverso elemento dell’agire con crudeltà, alternativo alle violenze o minacce, sempre che comporti un trattamento inumano e degradante”.

[15] F. Lattanzi, La nozione di tortura nel codice penale italiano a confronto con le norme internazionali in materia, cit., p. 151 ss.

[16] Cass. pen., Sez. Unite, 23 giugno 2016, n. 40516, in Giur. It., 2017, p. 1211 ss.

[17] Ex art. 613-bis, commi 2 e 3, c.p.: “Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.

[18] Ai sensi del comma 4 della norma in commento: “Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà”.

[19] C. Pezzimenti, Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, cit., p. 157, osserva che: “Tuttavia difetta di coordinamento sistematico e, come si vedrà, potrebbe dar luogo a distonie applicative paradossali. Siamo dinnanzi ad un’ipotesi di istigazione a delinquere “speciale” rispetto a quella prevista dall’art. 414 c.p.: vi è, infatti, una qualificazione dei soggetti ed il riferimento specifico alla tipologia di reato oggetto dell’istigazione. Non si fa cenno, invece, alla pubblicità della condotta, ma sono richieste “modalità concretamente idonee”, anche se non è ben chiaro a cosa debba riferirsi il requisito dell’idoneità. Ma non è questo il profilo più critico. La norma prevede una deroga ai principi generali di cui all’art. 115 c.p., in materia di non punibilità del c.d. tentativo di concorso. A tal riguardo, suscita forti perplessità la scelta di selezionare “i destinatari della condotta istigatoria nei solo pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio, col risultato paradossale che, se un pubblico ufficiale istiga in modo concreto alla tortura un privato cittadino (possibile soggetto attivo del reato di cui all’art. 613 bis) il fatto risulterà non punibile alla stregua dell’art. 115 c.p.”.

[20] In tale disposizione normativa si stabilisce che: “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo. Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza. Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l’istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso. Qualora l’istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d’istigazione a un delitto, l’istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza”.

[21] In tali termini, C. Pezzimenti, Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, cit., p. 158 ss.

Bibliografia

Costantini A., Il nuovo delitto di tortura, in Studium Iuris, 2018, p. 5 ss.

De Salvatore G., L’incidenza degli atti atipici di tortura sul ragionamento del giudice penale, in Cassazione Penale, 2017, p. 4530 ss.

Lanza G., Obblighi internazionali d’incriminazione penale della tortura ed ordinamento interno, in IP, 2011, 738 ss.

Lattanzi F., La nozione di tortura nel codice penale italiano a confronto con le norme internazionali in materia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2018, p. 151 ss.

Marchesi A., Delitto di tortura e obblighi internazionali di punizione, in Rivista di Diritto Internazionale, 2018, p. 131 ss.

Marchesi A., L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, in RDIn, 1999, 463 ss.

Pezzimenti C., Tortura e diritto penale simbolico: un binomio indissolubile?, in Diritto penale e processo, 2018, p. 158 ss.

 

 

 

 

 

FONTE ORIGINALE: https://www.camera.it/leg17/561?appro=OCD25-270
 
L'introduzione nel codice penale del reato di tortura (legge n. 110 del 2017)

informazioni aggiornate a lunedì, 5 marzo 2018

All'esito di un lungo e complesso iter parlamentare, con la legge n. 110 del 2017 sono stati introdotti nell'ordinamento i reati di tortura e di istigazione alla tortura.

Gli atti internazionali

Numerosi atti internazionali affermano che nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti: tra gli altri, la Convenzione di Ginevra del 1949, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (ratificata dalla L. 848/1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificato dalla L. 881/1977), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumani e degradanti (la cd. CAT), ratificata dall'Italia con la legge n. 489/1988; lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale del 1998 (L. 232/1999). La maggior parte di tali atti si limita a proibire la tortura ma non ne fornisce una specifica definizione.

In particolare, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura, ratificata dall'Italia con la legge n. 498/1988, prevede l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno (articolo 4). Per tortura ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della Convenzione si intende "qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate". Nella CAT, quindi, la specificità del reato di tortura è individuata e saldamente agganciata alla partecipazione agli atti di violenza, nei confronti di quanti sono sottoposti a restrizioni di libertà, di chi è titolare di una funzione pubblica. La tortura è ivi individuata come reato proprio del pubblico ufficiale che trova la sua specifica manifestazione nell'abuso di potere, quindi nell'esercizio arbitrario ed illegale di una forza legittima. Per quanto riguarda poi l'elemento soggettivo-psicologico del reato, sono richiesti al pubblico ufficiale due requisiti: il perseguimento di un particolare scopo, ossia ottenere dalla persona torturata (o da una terza persona) informazioni o una confessione; il dolo nell''infliggere dolore e sofferenze (uso dell'avverbio intenzionalmente). In base alla Convenzione, questi ultimi elementi (di natura oggettiva) non debbono, tuttavia, essere di lievi entità: le condotte di violenza o di minaccia per connotare il reato devono cioè aver prodotto sofferenze "forti" a livello fisico e psichico. L'ultima parte della definizione di tortura contenuta nella CAT si prefigge l'obbiettivo di escludere dalle azioni proibite quegli atti che derivano dall'applicazione di sanzioni legittime, quindi previste dalla legge. In questo modo, gli autori della Convenzione hanno voluto proteggere gli Stati dall'essere condannati a livello internazionale per il normale funzionamento del loro ordinamento giudiziario e carcerario. Il comma 2 dell'art. 1 lascia impregiudicato ogni strumento internazionale e ogni legge nazionale che contiene o può contenere disposizioni di portata più ampia.

L'art. 3 della Convenzione ha previsto, per ogni Stato parte, il divieto di espulsione, respingimento ed estradizione di una persona verso un altro Stato nel quale vi siano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta alla tortura. Per determinare l'esistenza di tali condizioni, le autorità competenti terranno conto di tutte le considerazioni pertinenti, ivi compresa, se del caso, l'esistenza nello Stato interessato, di un insieme di violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo, gravi, flagranti o massicce.

Per un confronto tra questa definizione e quelle contenute nello Statuto della Corte penale internazionale nonché nella più datata Dichiarazione ONU del 1975, si rinvia al dossier n. 149 del Servizio Studi.

Le audizioni in Commissione giustizia

Nel corso dell'esame parlamentare della proposta di legge per l'inserimento nel codice penale del delitto di tortura (AC. 2168), la Commissione giustizia nel maggio 2014 ha svolto una indagine conoscitiva nel corso della quale ha sentito l'allora Capo della Polizia, dott. Alessandro Pansa, e numerosi rappresentanti dei sindacati della Polizia di Stato e della Polizia penitenziaria, rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali, il dott. Alfredo Mantovano, giudice presso la Corte d'Appello di Roma, i professori di diritto penale Francesco Viganò e Tullio Padovani, il rappresentante del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale del Consiglio d'Europa ed i rappresentanti delle associazioni Amnesty International Italia e Antigone.

Il reato di tortura

Dopo un articolato iter parlamentare (cfr. Senato AS. 10 e abb.; Camera, AC. 2168), l'articolo 1 della legge n. 110 del 2017 ha introdotto nel codice penale - titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) - i reati di tortura (art. 613-bis) e di istigazione alla tortura (art. 613-ter), connotando l'illecito in modo solo parzialmente coincidente con la Convenzione ONU del 198 che, in particolare, definisce la tortura come reato proprio del pubblico ufficiale.

L'articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Rispetto all'art. 1 della Convenzione ONU del 1984, che prevede una condotta a forma libera da parte dell'autore del reato, l'art. 613-bis prevede esplicitamente che la tortura si realizza mediante violenze o minacce gravi o crudeltà (ovvero con trattamento inumano e degradante).

La necessità della pluralità delle condotte (violenze o minacce) non sembra, quindi, consentire di contestare il reato di tortura in presenza di un solo atto di violenza o minaccia. Peraltro, dalla formulazione del testo si realizza il reato di tortura anche qualora si sia determinato un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. In tale ultima ipotesi, per la contestazione del reato, si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte. 

Sono poi previste dall'art. 613-bis  fattispecie aggravate del reato di tortura:

·         la prima, conseguente all'opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell'autore del reato, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio; la pena prevista è in tal caso la reclusione da 5 a 12 anni (era da 5 a 15 anni nel testo Camera). Viene, tuttavia, precisato dal terzo comma dell'art. 613-bis che la fattispecie aggravata non si applica se le sofferenze per la tortura derivano unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.

·         il secondo gruppo di fattispecie aggravate consiste nell'avere causato lesioni personali comuni (aumento fino a 1/3 della pena), gravi (aumento di 1/3 della pena) o gravissime (aumento della metà). Il Senato ha precisato che anche tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma e non "dal fatto" quindi, anche in questo caso, il reato aggravato si perfeziona solo in presenza di una pluralità di azioni;

·         le altre fattispecie aggravate riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi: di morte non voluta, ma conseguenza dell'attività di tortura (30 anni di reclusione, mentre nel testo della Camera era previsto l'aumento di due terzi delle pene); di morte come conseguenza voluta da parte dell'autore del reato (pena dell'ergastolo). Anche in questo caso, Il Senato ha precisato che tali fattispecie aggravate derivano "dai fatti" indicati dal primo comma.

Il reato di istigazione a commettere tortura

La legge 110 introduce, poi, nel codice penale l'art. 613-ter con cui si punisce l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. In particolare, è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni per pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso.

Disposizioni processuali

Viene introdotta dalla legge una disposizione procedurale che - novellando il codice di procedura penale -  stabilisce l'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.

La modifica del testo unico immigrazione

La riforma coordina con l'introduzione del resto di tortura l'art. 19 del testo unico immigrazione (d.lgs. 286/1998): sono così vietate le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta che sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione - sostanzialmente aderente al contenuto dell'art. 3 della Convenzione ONU -  precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni "sistematiche e gravi" dei diritti umani.

Il limite alle immunità diplomatiche e l'estradizione

L'articolo 4 della legge n. 110 del 2017 esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati  per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale (comma 1). L'immunità diplomatica riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia nonché il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l'Italia da parte di uno Stato estero.

Viene poi previsto l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale.

Le prime valutazioni del Consiglio d'Europa

Si segnala che, in data 16 giugno 2017, alla vigilia dell'approvazione finale da parte della Camera, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, ha indirizzato ai Presidenti di entrambe le Camere, delle Commissioni Giustizia di ciascuna di esse e al senatore Manconi, quale Presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani costituita presso il Senato, una nota con cui rappresenta talune preoccupazioni su alcuni aspetti del testo approvato dal Senato e ritrasmesso alla Camera, che, a suo avviso, sembrano in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura – UNCAT.

In particolare, le preoccupazioni manifestate dal Commissario si riferiscono al fatto che, per la configurabilità del reato di tortura, siano necessarie "più condotte di violenza o minacce gravi ovvero crudeltà"; che la tortura si configuri anche in presenza di trattamenti inumani e degradanti (laddove l'articolo 3 della Convenzione EDU prevede la disgiuntiva "trattamenti inumani o degradanti"); inoltre, quanto alla tortura di tipo psicologico, che essa cagioni un trauma verificabile sotto tale profilo. La nota del Commissario europeo sottolinea ancora che vi sono altri aspetti di divergenza della definizione contenuta nella proposta di legge rispetto a quella di cui all'art. 1 della Convenzione ONU sulla tortura e che ciò comporta il rischio che episodi di tortura o di pene e trattamenti inumani o degradanti restino non normati, dando luogo a casi di impunità. Inoltre la nota, considerato che il testo approvato dal Senato adotta una definizione ampia di tortura che ricomprende anche i comportamenti di privati cittadini, sottolinea l'importanza di garantire che questo non conduca a indebolire la tutela contro le torture inflitte per mano di pubblici ufficiali.

In conclusione, il Commissario rileva che le nuove disposizioni dovrebbero prevedere pene adeguate per i responsabili di atti di tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti, avendo quindi un effetto deterrente e dovrebbero garantire che la punibilità per questo reato non sia soggetta a prescrizione, né sia possibile emanare in questi casi misure di clemenza, amnistia, indulto o sospensione della sentenza.

Dossier

·         AA.CC. nn. 189, 276, 588, 979, 1499, 2168 Il reato di tortura nei principali ordinamenti europei

Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera (A)
pubblicato il 5 maggio 2014