il manifesto,
25-5-2006
Soldati
da sogno hi tech
Marina ed esercito Usa sperimentano la «brain porta»:
un terminale sulla lingua che trasmette al cervello i segnali di un sonar o di
un visore notturno. Ma intanto finisce nei videogiochi
di Francesco Piccioni
Guerra e gioco si somigliano troppo. Anzi, l'unica
vera differenza risiede nell'esito di un'azione: definitivo e irreversibile nel
primo caso, provvisorio e replicabile nel secondo. Ma logica e strumenti sono
molto simili, anzi - spesso - addirittura identici.
Una rapida verifica
è possibile guardando a risultati e sviluppi della recente ricerca sul modo di
dare ordini «mentali» a una serie di dispositivi hardware oppure - seguendo il
percorso inverso - di comunicare al cervello i dati provenienti da una serie di
rilevatori. Lo scopo è quello di saltare la fase del linguaggio verbale,
inevitabilmente lenta, ma anche quella dell'elaborazione razionale, che si
realizza pur sempre attraverso strumenti linguistici. In tal modo il cervello
viene posto in condizione di «sentire» gli input e reagire in tempo reale, in
modo quasi istintivo. Il vantaggio operativo è evidente, la perdita di
controllo razionale anche.
Non è perciò una
sorpresa che questa nuova frontiera della ricerca sia competenza quasi
esclusiva dell'industria militare, con ricadute che vengono utilizzate - a più
basso livello - da società che sviluppano videogiochi. Al Florida Institute for
Human and Machine Cognition hanno messo a punto una «brain port», una «porta
per il cervello», costituita da una sottile striscia di plastica con 144
microelettrodi, che va posizionata sulla lingua. La vera scoperta - della
fisiologia, però - è infatti che sia proprio la lingua il nostro sensore
migliore per inviare segnali al cervello.
Ma l'istituto della
Florida lavora direttamente per l'esercito americano e ha sviluppato il suo
sistema in due campi di applicazione: l'attività dei sommozzatori-incursori e
quello del combattimento notturno. La brain port viene collegata a
dispositivi sonar, visori a raggi infrarossi e quant'altro utile al combattente
per operare in condizioni dove «i nemici» sono costretti a stare fermi. Nella
promozione aziendale l'obiettivo della ricerca è descritto così: «dare ai
soldati d'elite sensi superumani simili a quelli di gufi,
serpenti e pesci».
E' il sogno più
antico di ogni leadership che fonda gran parte del proprio potere sulla
superiorità bellica. Le «scoperte» conferiscono in genere un vantaggio di breve
durata: il tempo necessario al nemico di mettere a punto le contromisure. In questo
caso, però, dobbiamo notare anche un'inversione di tendenza: la tecnologia del
secondo dopoguerra, incentrata sulla superiorità atomica, aveva sostanzialmente
dismesso ogni ricerca intorno al combattente in carne ossa. Il crollo
dell'Unione sovietica e un lungo periodo in cui la guerra è solo «asimmetrica»
- «noi» abbiamo le tecnologie, «loro» no; «noi» abbiamo gli aerei e i carri
armati, «loro» no, ecc - hanno riportato al centro della battaglia la fanteria.
Un paese disastrato come l'Iraq o l'Afghanistan lo si può battere in un paio di
settimane, ma occuparlo - ossia viverci e girarlo - resta un problema.
Difficile dire se
tanto sforzo tecnologico produrrà il risultato voluto (viste le tecniche di
combattimento in uso in quei paesi si è autorizzati a dubitarne), ma intanto il
business si è fatto avanti.
NeuroSky e CyberLearning sono due delle prime software house di videogiochi che
hanno inziato a progettare un casco collegato con la brain port, il che garantirebbe una
«presenza» all'interno del gioco assolutamente inedita: «quello che stai
pensando influisce sullo svolgimento del gioco stesso».
Ma c'è anche
un'altra direzione di ricerca, decisamente più scientifica. Yukiyasu Kamitani,
dell'ATR Computational Neuroscience Laboratories di Kyoto, e Frank Tong della
Princeton University hanno raggiunto risultati definiti «incoraggianti» nel
tentativo di «leggere la mente» attraverso una scannerizzazione incentrata
sulla stessa brain port, ma con input rovesciato. In pratica, tentano di capire cosa la mente
sta pensando a partire dalle vibrazioni trasmesse dalla superficie della
lingua.
Per ora, dal punto
di vista del profano, questi risultati sono allo stato pioneristico: si riesce
appena a capire dove l'occhio è diretto mentre guarda una serie di doppie linee
poste in otto direzioni diverse. Aprire una strada non significa avere già ora
la possibilità di percorrerla; ma è da segnalare che è stata iniziata.
Qui l'obiettivo non
è quello di «estendere» le potenzialità individuali di un combattente vero o virtuale
(una realizzazione hard del vechio tentativo psicotropo di «allargare le porte
della percezione»), ma l'esatto opposto: entrare nella mente di un altro. Cosa
fare dopo dipende solo dalla volontà e dagli scopi dell'entrante. Le «porte»,
anche quelle della mente, permettono sempre di muoversi in due direzioni.